Che cos’è successo allo yacht di Flavio Briatore?
La storia
Passo indietro. Nel 2010, 18 agenti della Guardia di Finanza si presentano davanti allo yacht dell’imprenditore ormeggiato vicino a La Spezia. A bordo ci sono l’allora compagna di Briatore Elisabetta Gregoraci e il loro figlio Nathan Falco. Gli ufficiali, su ordine dell’autorità, sequestrano la barca. Briatore è infatti indagato per evasione e frode fiscale: i pm pensano che tra le altre cose abbia simulato la destinazione d’uso di Force Blue a un servizio charter (quindi di lavoro per affittarlo ai turisti) mentre invece lo usava per sé e la sua famiglia. Il presunto «inganno», pensano i giudici, serve a pagare meno tasse.
Lo yacht nel frattempo venduto
Dopo una serie di giudizi e ricorsi, a gennaio 2022 però Briatore viene assolto per quell’accusa: «il fatto non costituisce reato». La Corte di appello di Genova, dopo averlo assolto, dispone che lo yacht sia dissequestrato e gli venga restituito. Piccolo particolare: nel frattempo lo stato italiano aveva venduto lo yacht. L’acquirente è l’ex patron della Formula 1 Bernie Ecclestone per 3 milioni e 600mila euro. Ora Briatore avrà diritto a 7,5 milioni di euro di ristoro, ma secondo lui la differenza rispetto al valore di mercato dello yacht (20 milioni di euro) è enorme.
Come funzionano le confische fiscali
Naturalmente sui giornali sono scoppiate le polemiche a proposito dell’operato della magistratura ligure e delle procedure dei sequestri fiscali. Ma come funzionano? Anzitutto bisogna fare una differenza di termini: si parla di sequestro quando l’autorità sottrae temporaneamente un bene, magari per fini di indagine (magari l’arma del delitto). Si parla di confisca, invece, quando sottrae un bene che non tornerà nella disponibilità dell’indagato. Secondo l’articolo 240 del codice penale, infatti, in caso di condanna, «il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto».
Perché si confiscano i beni?
La confisca vuole prevenire la commissione di nuovi reati, e lo fa tramite l‘espropriazione di cose e proprietà che, ritenute collegate all‘esecuzione di un reato, potrebbero rischiare di venire riutilizzate in modo illecito. Nel caso di reati di mafia, inoltre, la legge prevede addirittura che i beni confiscati (per esempio case, terreni o aziende) siano riutilizzati per scopi sociali. Dal 2011 il nostro Paese dispone di un’Agenzia nazionale che regola la gestione del patrimonio sequestrato e in attesa di confisca definitiva, e in seguito della destinazione dei beni confiscati.
C’è molta strada da fare
La confisca rimane infatti uno degli strumenti più importanti e utilizzati della lotta alla mafia. Secondo un recente dossier dell’associazione Libera, dal 1982 a oggi sono stati più di 36 mila i beni immobili confiscati alla malavita organizzata. Alla fine del 2018 in Sicilia è avvenuto quello che rimane ad oggi il più colossale, ai danni degli eredi dell’imprenditore Carmelo Patti, ex proprietario di Valtur, con beni, barche, resort, terreni, immobili e società per un valore di più di un miliardo e mezzo di euro. E tuttavia, c’è ancora molta strada da fare: i dati dicono che solo il 4% dei beni confiscati viene poi riconvertito e riutilizzato per fini sociali.