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E se in Italia pubblicizzassimo i nomi degli evasori?

Almeno non siamo i peggiori al mondo. Evasori, si intende. Secondo il rapporto «Economie sommerse in tutto il mondo», in Italia l’economia sommersa (cioè nascosta allo Stato per ragioni fiscali) è pari al 27% del Prodotto interno lordo. Un dato allarmante, che ci rende il Paese mediamente «più evasore» dell’Unione Europea.
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Evasione Fiscale in Italia ed Europa

Il primato nero della Georgia

Nel resto del mondo, però, c’è chi fa peggio: la Georgia è addirittura al 72% (in altre parole, ogni 10 euro guadagnati, 7 sono in nero), seguita da Bolivia (70%), Azerbaijan (69%), Perù (66%), Tanzania (63%) e Ucraina (58%). Negli Stati Uniti il nero pesa solo per il 9% dell’economia. In Europa si distinguono positivamente Olanda (13%) e Francia (15%). Si tratta di Paesi con burocrazie molto più snelle ed efficaci rispetto a quella italiana, dove invece da sempre l’economia sommersa è vista anche come un modo per sfuggire alle spire burocratiche. Un ragionamento che dà luogo ovviamente a un circolo vizioso: più evasione significa meno soldi nelle casse di uno Stato, che a loro volta significano meno servizi per i cittadini come ospedali, scuole, strade, pensioni ecc.

Le tasse non sono globalizzate

Come ha scritto la professoressa dell’Università del Nevada Sonja Pippin, le tasse – diversamente da tantissimi altri business – non hanno seguito il trend della globalizzazione: rimangono con differenze marcate tra i vari Paesi. Fra i 38 Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd), ad avere il carico fiscale maggiore sono Francia e Germania, che raccolgono dal 34 al 46% del loro Pil in tasse. Il fanalino di coda è il Messico, che riscuote solo dall’11 al 16,6% del suo Pil. Ci sono poi sistemi più centralizzati, come quello statunitense, e altri che raccolgono le tasse a livello regionale o locale, come la Svizzera o anche la stessa Italia, in cui i tributi si pagano anche su base regionale e comunale.

E neanche la lotta all’evasione fiscale

A non essere globalizzata è anche la lotta all’evasione. Ogni Paese e comunità internazionale risponde all’evasione a modo suo. C’è chi mette in pratica il principio di derivazione anglosassone del «name and shame»: essenzialmente, il rendere pubbliche le liste di chi non paga le tasse. L’Irlanda, ad esempio, lo fa dal 1997, e pubblica online regolarmente i nomi e cognomi dei “furbetti” che non corrispondono il dovuto allo Stato. Ma non è l’unica: accade anche in 23 dei 50 Stati americani, il Messico, i Paesi baltici, la Bulgaria, la Romania, la Croazia.

I metodi antievasione in Europa

La Spagna ha introdotto l’anno scorso una legge «per la prevenzione e la lotta alle frodi fiscali»: prevede più controllo sulle criptovalute, un abbassamento del limite del contante da 2.500 a 1.000 euro nelle operazioni commerciali, a un’attenzione particolare a quei software aziendali che potrebbero consentire di tenere una contabilità sommersa. In Germania l’attuale cancelliere Olaf Scholz ha introdotto dal 2018, quand’era ministro delle Finanze, una task force specializzata nella lotta all’evasione, che conduce verifiche anche a livello internazionale. C’è poi il modello danese – o scandinavo in generale, dato che le condizioni in Svezia e Norvegia sono pressoché identiche – che si basa su un sistema efficace di controlli, nonché sulla grande prevalenza del lavoro dipendente su quello subordinato. Un dato che, purtroppo, non vale per l’Italia.

E l’Italia?

Nel nostro Paese dal 2020 il ministero dell’Economia ha permesso all’Agenzia delle entrate di «avvalersi delle tecnologie, delle elaborazioni e delle interconnessioni con le altre banche dati» per controllare meglio le posizioni fiscali degli italiani. Ma ancora nel 2019 l’Italia si confermava prima in Unione Europea per l’evasione dell’Iva, con perdite per lo Stato di 30,1 miliardi di euro. Abbiamo ancora da lavorare.

Alice Bertolio
da Alice Bertolio
pubblicato il: 04.05.2022
aggiornato il: 06.05.2022

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